22 Novembre 2024

Nebbiolo d’Alba Parigi – Sebaste

La cosa bella è riuscire a sorprendersi ogni giorno di fronte a un calice, anche avendone assaggiati 100.000, finché riusciamo a stupirci e a godere delle singole peculiarità di un calice, possiamo stare tranquilli che il rapporto con il mondo del vino non potrà che essere florido, un pò come un matrimonio che ogni giorno regala gioie e sorprese e qualche volta pure problemi e sfide, come è giusto che sia.

Questa la dovuta premessa per far capire a chi inizia già a chiedersi cosa mai potrà avere un nebbiolo d’Alba DOC di così stupefacente quando dalla stessa terra nascono baroli e barbareschi di rinomata fattura e sicuro clamore. In questo calice ci ho visto la precisa volontà di un produttore di esaltare l’identità di una denominazione che a volte è considerata solo di ricaduta per qualche sfortunato fratello minore dei succitati, ma che invece può dare autonomamente grande risalto a una lavorazione ben specifica di questo vitigno.

Mauro Sebaste non ha certo bisogno di particolari presentazioni, tra l’altro ne abbiamo anche parlato in un’altra degustazione (raggiungibile qui), trattasi semplicemente di uno dei maggiori produttori della zona che si pone il preciso obiettivo di raggiungere risultati qualitativamente elevati senza fronzoli e compromessi.

Nel caso specifico di questo vino che ho avuto il piacere di assaggiare, il Nebbiolo d’Alba DOC Parigi, siamo in zona Alba e Diano d’Alba e parliamo di un 100% nebbiolo (sua maestà) coltivato su suoli prettamente calcarei. La raccolta è rigorosamente manuale, iper selezionata e svolta tra fine settembre e inizi di ottobre, quando questo tesoro è al perfetto equilibrio tra maturità fenolica e tecnologica. Fermentazione malolattica e invecchiamento sono svolti totalmente in tonneaux da 400 litri (suddivise tra rovere americano e francese) per 12 – 14 mesi, quanto necessario a garantire la corretta prontezza al vino senza snaturare l’identità del vitigno.

Il risultato sprizza eleganza e freschezza, ci ha colpito per equilibrio e complessità, con un alcol ben presente (15% mica pizza e fichi) ma mai invadente e dalla invidiabile bevibilità. Grande carattere, sembra alzare la testa quasi a far valere la propria rilevanza in un mondo di giganti e ritagliare il proprio ruolo nella prima linea di una fascia intermedia dal mercato assicurato.

Alla vista il calice è limpido, di un rosso rubino dai riflessi granati, con la trasparenza tipica di un nebbiolo e di assoluta e inevitabile consistenza.

All’olfatto dà il meglio di sé, sembra sfoggiare uno dopo l’altro tutti i sentori che un vino del genere può regalare in un bouquet di impressionante complessità, ma al contempo elegante e intenso.

Di primo impatto i frutti rossi rubano la scena per poi pian piano dar spazio a una prugna, al ribes nero e a una ciliegia surmatura, oltre che ad una freschissima speziatura, con pepe rosa e humus perfettamente allineati, e ad una velata ma piacevole percezione mentolata. Il background è ciò che ci si aspetta da un’invecchiamento non invasivo ma presente, come quello di questo vino, con note eteree, vanigliate e uno sfondo di cacao amaro e tabacco dolce. Il floreale è delicato ma presente, dato da una viola mammola appasita di assoluta finezza. Davvero un gran ben di Dio.

Il sorso è subito imperioso, ma non aggressivo, decisamente caldo e morbido, di buona freschezza e con una generosissima sapidità che regola alla perfezione la percezione pseudo-calorica. Il tannino è levigato e integrato a dovere in un buon corpo, magari non ai livelli dei fratelli maggiori, ma piacevole e giusto in tale contesto. Il risultato è equilibrato e abbastanza armonico, con ottima intensità e persistenza.

Si sposa alla perfezione con salumi e formaggi, ma anche con un bell’arrosto misto di carne. Lo ritengo all’altezza di una tavola di esigenti commensali che vorranno godere di un’identità assoluta e di un prodotto di livello.

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